domenica 19 ottobre 2014
Anniken, Umanesimo, Rivoluzione
Dopo mesi di assenza dal mio blog rompo il silenzio e riprendo la “penna” in mano per una riflessione sul caso di Anniken Jorgensen, oramai famosa fashion blogger scandinava, che con coraggio e duro lavoro ha raccontato al mondo le condizioni di lavoro in cui sono costretti centinaia di donne e uomini, sfruttati da un sistema produttivo organizzato da famosissimi marchi della moda mondiale. Anniken ha deciso di raccontare questa triste storia, peraltro non nuova, superando le pressioni di lobby interessate alla non pubblicizzazione di quelle scomode verità, mettendosi in gioco con la sfrontatezza dei suoi 18 anni. Con sorpresa tuttavia leggo nei commenti al suo post, che rimbalzano da Stato a Stato, da lingua a lingua, che tra i suoi detrattori non ci sono solo lobby interessate, ma anche tante persone comuni che sentono il bisogno di esprimere pubblicamente la propria cinica e pessimistica visione del mondo: e’ un sistema in cui esistono regole distorte che vanno supinamente accettate perché “così va il mondo” oppure perché “non e’ solo H&M a fare cose del genere”. E’ vero, molte imprese proprietarie di marchi importanti immaginano globalmente la propria produzione secondo logiche aziendaliste di riduzione dei costi. Perché negarlo? Se ancora in Italia, imprenditori Italiani, non “concordano” su cosa possa essere marchiato come made in Italy, su quali e quante fasi della produzione devono essere realizzate in Italia per potersi fregiare di questo insuperabile plus… di cosa vogliamo stupirci? Verrebbe da dire, hanno ragione i “pessimisti”. Confrontandoci con ordinamenti legislativi che negano l’importanza della tracciabiàita’ delle produzioni manifatturiere come dell’origine delle materie prime alimentari che finiscono sui nostri piatti… cosa possiamo aspettarci? Signore e signori ho la risposta per voi: non dobbiamo aspettarci nulla! Al contrario, dobbiamo essere proattivi! Ognuno di noi deve riappropriarsi del proprio potere, l’immenso potere espresso dal nostro portafoglio di acquisti, il nostro potere d’acquisto. Questo non e’ eroso solo dall’inflazione ma, sopratutto, viene perso nel momento in cui dimentichiamo che possiamo usare i nostri soldi per premiare le aziende virtuose, per far crescere i valori in cui crediamo correggendo i comportamenti di chi quei valori non li interpreta. Con i nostri acquisti “consapevoli” e’ possibile cambiare il mondo per farne un luogo migliore, ma questa consapevolezza ha un costo rappresentato dallo sforzo di informarsi, di cercare, di vivere attivamente e con curiosità la nostra vita. Badate bene, un costo lo deve sostenere anche chi si propone sul mercato con dei prodotti da vendere. Le aziende devono sforzarsi di comunicare per soddisfare la fame di conoscenza dei consumatori “consapevoli”. E’ uno sforzo reciproco, nutrirsi di informazioni e dare informazione per creare un legame vero, sincero e giusto tra chi produce e chi acquista. Una rivoluzione comportamentale che deve originarsi in ognuno di noi, o almeno in chi crede che si può’ costruire un mondo migliore. E’ qui che l’umanesimo tocca l’information technology, e’ questa la sfida del XXI secolo.
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